L’ente ospedaliero risponde a titolo contrattuale per i danni subiti da un paziente a causa della non diligente esecuzione della prestazione sanitaria da parte di un medico alle sue dipendenze.
(Cass. civ., sez. III, 28 maggio 2004, n. 10297)
L’ente ospedaliero risponde a titolo contrattuale per i danni subiti da un paziente a causa della non diligente esecuzione della prestazione sanitaria da parte di un medico alle sue dipendenze.
(Cass. civ., sez. III, 28 maggio 2004, n. 10297)
In tema di colpa medica, non possono ritenersi esenti da responsabilità i componenti di una “equipe” operatoria i quali, ad intervento chirurgico eseguito, aderendo ad una prassi che rimetteva esclusivamente al personale infermieristico l’incombenza di provvedere alla “conta dei ferri”, non si siano curati di verificare che nessuno di detti ferri risultasse mancante e non abbiano quindi potuto rendersi conto che uno di essi era rimasto nel corpo del paziente; fatto, questo, dal quale erano poi derivate complicanze che avevano accelerato la morte del medesimo paziente, già portatore di patologia ad esito presumibilmente infausto.
(Cass. pen., sez. IV, 26 maggio 2004, n. 39062)
L’ente ospedaliero, gestore di un servizio pubblico sanitario, risponde a titolo contrattuale per i danni subiti da un privato a causa della non diligente esecuzione della prestazione medica da parte di un proprio dipendente; l’inadempimento del professionista in relazione alla propria obbligazione, che costituisce pur sempre obbligazione di mezzi e non di risultato – e la conseguente responsabilità dell’ ente ove questi presti la propria opera – deve essere valutato alla stregua del dovere di diligenza particolarmente qualificato inerente lo svolgimento della sua attività professionale; ne consegue che è configurabile un nesso causale tra il suo comportamento, anche omissivo, e il pregiudizio subito da un paziente, qualora, attraverso un criterio necessariamente probabilistico, si ritenga che l’opera del professionista, se correttamente e prontamente svolta, avrebbe avuto serie ed apprezzabili possibilità di evitare il danno verificatosi.
(Cass. civ., sez. III, 4 marzo 2004, n. 4400)
In tema di responsabilità medica il principio dell’affidamento, e cioè il principio secondo il quale ciascuno può contare sull’adempimento, da parte degli altri, dei doveri su essi incombenti, non può essere invocato da chi per primo abbia violato una norma di condotta; ne consegue che il medico il quale abbia affidato ad un inesperto assistente sociale un malato grave di mente, nel caso di suicidio del malato non può invocare quale causa eccezionale, idonea ad escludere il nesso causale, il deficit di sorveglianza del malato da parte dell’assistente sociale.
(Cass. pen., sez. IV, 4 marzo 2004, n. 10435)
In tema di responsabilità contrattuale del professionista medico che si sia reso responsabile di una diagnosi errata, integrante di per sè l’inadempimento, in presenza di un quadro clinico complesso per la gravità della patologia e le precarie condizioni di salute del paziente, la prova della mancanza di colpa per la morte del paziente deve essere fornita dal debitore della prestazione, e dell’eventuale situazione di incertezza sulla stessa si deve giovare il creditore e non il debitore. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che non aveva fatto corretta applicazione del principio sulla ripartizione dell’onere probatorio in quanto, in una situazione in cui al paziente, presentatosi presso un pronto soccorso, non era stato diagnosticato sulla base del solo esame clinico l’aneurisma addominale in atto, si era ritenuto che il medico di turno fosse esente da colpa, nell’incertezza circa la presenza di acuti dolori addominali che avrebbero consentito la diagnosi immediata).
(Cass. civ., sez. III, 4 marzo 2004, n. 4400)