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Doveri di diligenza del professionista e inadempimento

L’inadempimento del professionista alla propria obbligazione non può essere desunto, “ipso facto”, dal mancato raggiungimento del risultato utile avuto di mira dal cliente, ma deve essere valutato alla stregua dei doveri inerenti lo svolgimento dell’attività professionale e, in particolare, del dovere di diligenza, per il quale trova applicazione, in luogo del tradizionale criterio della diligenza del buon padre di famiglia, il parametro della diligenza professionale fissato dall’art. 1176, comma 2, c.c. parametro da commisurarsi alla natura dell’attività esercitata. Pertanto non potendo il professionista garantire l’esito comunque favorevole auspicato dal cliente, il danno derivante da eventuali sue omissioni in tanto è ravvisabile, in quanto, sulla base di criteri necessariamente probabilistici, si accerti che, senza quell’omissione, il risultato sarebbe stato conseguito secondo un’indagine istituzionalmente riservata al giudice di merito, e non censurabile in sede di legittimità se adeguatamente motivata ed immune da vizi logici e giuridici.

(Cass. civ., sez. III, 4 marzo 2004, n. 4400)

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Difettosa tenuta della cartella clinica e nesso di causalità tra condotta colposa e danno

In tema di responsabilità professionale del medico-chirurgo, la difettosa tenuta della cartella clinica naturalmente non vale ad escludere la sussistenza del nesso eziologico tra la colposa condotta dei medici in relazione alla patologia accertata e la morte, ove risulti provata l’idoneità di tale condotta a provocarla, ma consente anzi il ricorso alle presunzioni, come avviene in ogni caso in cui la prova non possa essere data per un comportamento ascrivibile alla stessa parte contro la quale il fatto da provare avrebbe potuto essere invocato, nel quadro dei principi in ordine alla distribuzione dell’onere della prova ed al rilievo che assume a tal fine la “vicinanza alla prova”, e cioè la effettiva possibilità per l’una o per l’altra parte di offrirla.

(Cass. civ., sez. III, 21 luglio 2003, n. 11316)

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Responsabilità della struttura ospedaliera per fatto del dipendente

In tema di risarcimento del danno morale conseguente a lesioni personali connesse al parto verificatosi presso un ente ospedaliero – con il quale la gestante ha stipulato il contratto di ricovero, che è contratto con effetti protettivi a favore di terzo – ai fini dell’accertamento della responsabilità dell’ente medesimo è irrilevante l’esatta individuazione del sanitario o dei sanitari cui sia imputabile la condotta lesiva nei confronti del nascituro in quanto, in base al principio di immedesimazione organica, è attribuibile direttamente all’ente l’attività del suo personale. Ne consegue che l’ente ospedaliero risponde direttamente della negligenza ed imperizia dei propri dipendenti nell’ambito delle prestazioni sanitarie effettuate al nascituro ed il diverso apporto causale dei vari dipendenti attiene al rapporto interno tra questi ultimi e l’ente.

(Cass. civ., sez. III, 14 luglio 2003, n. 11001)

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Nesso di causalità e danni indiretti

Il nesso di causalità va inteso in modo da ricomprendere anche i danni indiretti e mediati che si presentino come effetto normale secondo il principio della cosiddetta regolarità causale, con la conseguenza che, ai fini del sorgere dell’obbligazione di risarcimento, il rapporto fra illecito ed evento può anche non essere diretto ed immediato se, ferme restando le altre condizioni, il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo, sempre che, nel momento in cui si produce l’evento causante, le conseguenze dannose di esso non appaiano del tutto inverosimili. L’accertamento del nesso di causalità è riservato al giudice del merito, il cui apprezzamento è insindacabile in sede di legittimità, se sorretto da motivazione congrua ed immune da vizi.

(Cass. civ., sez. III, 21 dicembre 2001, n. 16163, in “Giust. civ. Mass.”, 2001, 2200)

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Consenso informato

La mancanza del consenso (opportunamente “informato”) del malato o la sua invalidità per altre ragioni determina l’arbitrarietà del trattamento medico chirurgico e, la sua rilevanza penale, in quanto posto in violazione della sfera personale del soggetto e del suo diritto di decidere se permettere interventi estranei sul proprio corpo. Le ipotesi delittuose configurabili possono essere di carattere doloso: art. 610 – 613 – 605 c.p. nell’evenienza del trattamento terapeutico non chirurgico; ovvero, art. 582 c.p. nell’evenienza di trattamento chirurgico: di fatto, il delitto di lesioni personali ricorre nel suo profilo oggettivo, poiché qualsiasi intervento chirurgico, anche se eseguito a scopo di cura e con esito “fausto”, implica necessariamente il compimento di atti che nella loro materialità estrinsecano l’elemento oggettivo di detto reato, ledendo l’integrità corporea del soggetto.

(Cass. pen., sez. IV, 11 luglio 2001, n. 1572)

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